Come muore un regime by Paolo Cacace;

Come muore un regime by Paolo Cacace;

autore:Paolo, Cacace; [Cacace, Paolo ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Biblioteca storica
ISBN: 9788815367457
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2021-08-15T00:00:00+00:00


8. Lo schiaffo di Feltre

Quando le delegazioni italiana e tedesca prendono posizione a cerchio nel salone d’ingresso di Villa Gaggia, Hitler e Mussolini sanno bene quali argomenti devono mettere sul tavolo.

Il Führer – dopo aver ricevuto nella notte del 17 luglio un nuovo, allarmante, rapporto sulla situazione in Italia e dopo aver acquisito (nel corso di una riunione, la sera del 18, a Berchtesgaden) un dossier «rude e conciso» del generale Walter Warlimont sulle misure indispensabili per impegnare il nemico e tenerlo lontano «quanto più possibile» dal territorio tedesco – ha deciso di passare all’azione. Con il pretesto che la situazione militare esige «unità di direttive» egli, d’intesa con l’OKW, spinge per affidare nominalmente a Mussolini il comando delle unità italiane e tedesche operanti nel Mediterraneo. Ma questo sarebbe solo un effimero e penoso paravento.

In realtà, le truppe italiane sarebbero state subordinate al comando tedesco, presumibilmente alle dipendenze di Rommel, mentre il nostro Comando supremo avrebbe dovuto essere demolito, ricostituito e ristrutturato in modo tale da «assicurare la completa collaborazione» con le forze tedesche. Il comando congiunto delle forze aeree sarebbe stato assunto sic et simpliciter dal feldmaresciallo Wolfram von Richthofen. Insomma, una riproposizione un po’ meno brutale del repulisti nell’alto comando italiano, con le «misure barbariche» evocate da Hitler nella precedente riunione con l’OKW.

Questa era la sostanza del diktat. Solo a tali condizioni il Comando supremo tedesco avrebbe acconsentito ad inviare altre truppe nell’Italia meridionale per sostenere quelle italiane colà già presenti ovvero trasferite dal nord della penisola.

L’imprevisto andamento del convegno indurrà Hitler a glissare momentaneamente sulla richiesta ultimativa del «comando unico», ma certo non a rinunziarvi né ad astenersi dall’esibirsi in una sferzante requisitoria contro la nostra condotta bellica.

Mussolini, invece, secondo i rapporti e i promemoria trasmessi fino all’ultimo momento a Palazzo Venezia dal generale Ambrosio, dall’ambasciatore Alfieri e dal sottosegretario Bastianini, avrebbe dovuto semplicemente obiettare che la nostra situazione militare era diventata insostenibile.

Il Comando supremo aveva elencato tutti i rinforzi in materiali e armi che l’alleato tedesco aveva promesso e non aveva inviato, mentre Alfieri chiedeva impegni precisi per sapere esattamente quanti aerei i tedeschi avrebbero inviato in Italia, in quali aeroporti e in quali date.

Appena prima dell’annuncio del vertice, Bastianini aveva preparato la bozza di un telegramma che Mussolini avrebbe dovuto trasmettere a Hitler, sottolineando come «i nostri insuccessi militari erano dovuti esclusivamente alla mancanza di mezzi adeguati» e che «il nostro armamento che era già scarso al momento nella nostra entrata in guerra» era andato «sempre più risentendo delle perdite e del logoramento subito».

Di qui un vibrante appello al Führer per spingerlo ad «accogliere integralmente le richieste italiane che rappresentano il minimo indispensabile del fabbisogno attuale» anche perché – avvertiva Bastianini – «il Paese e l’esercito abbiano la sensazione immediata che si sta riparando ad una disparità di armamento che non può essere compensata da nessun eroico sacrificio»[108].

L’alternativa, ancora una volta, era chiara e inequivoca: o l’alleato tedesco ci forniva finalmente i mezzi per difenderci soprattutto in Sicilia, ma anche sulla penisola, o la nostra uscita dal conflitto sarebbe stata inevitabile.



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